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paradiso - canto xxxii 461

     «O santo padre, che per me comporte
l’esser qua giù, lasciando il dolce loco
102nel qual tu siedi per eterna sorte,
     qual è quell’angel che con tanto gioco
guarda ne li occhi la nostra regina,
105innamorato sí che par di foco?»
     Cosí ricorsi ancora a la dottrina
di colui ch’abbelliva di Maria,
108come del sole stella mattutina.
     Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
quant’esser puote in angelo ed in alma,
111tutta è in lui; e sí volem che sia,
     perch’elli è quegli che portò la palma
giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio
114carcar si volse de la nostra salma.
     Ma vieni omai con li occhi sí com’io
andrò parlando, e nota i gran patrici
117di questo imperio giustissimo e pio.
     Quei due che seggon lá su, piú felici
per esser propinquissimi ad Augusta,
120son d’esta rosa quasi due radici:
     colui che da sinistra le s’aggiusta
è ’l padre per lo cui ardito gusto
123l’umana specie tanto amaro gusta;
     dal destro vedi quel padre vetusto
di Santa Chiesa, a cui Cristo le chiavi
126raccomandò di questo fior venusto.
     E quei che vide tutti i tempi gravi,
pria che morisse, de la bella sposa
129che s’acquistò con la lancia e coi clavi,
     siede lungh’esso; e lungo l’altro posa
quel duca sotto cui visse di manna
132la gente ingrata, mobile e retrosa.
     Di contr’a Pietro vedi sedere Anna,
tanto contenta di mirar sua figlia,
135che non move occhio per cantare osanna;