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450 la divina commedia

     Di tal fiumana uscían faville vive,
e d’ogni parte si mettíen ne’ fiori,
66quasi rubin che oro circunscrive;
     poi, come inebriate da li odori,
riprofondavan sé nel miro gurge,
69e s’una intrava, un’altra n’uscía fuori.
     «L’alto disio che mo t’infiamma e urge
d’aver notizia di ciò che tu véi,
72tanto mi piace piú quanto piú turge;
     ma di quest’acqua convien che tu béi
prima che tanta sete in te si sazii»:
75cosí mi disse il sol de li occhi miei.
     Anche soggiunse: «Il fiume e li topazii
ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe
78son di lor vero umbriferi prefazii:
     non che da sé sian queste cose acerbe,
ma è difetto da la parte tua,
81che non hai viste ancor tanto superbe».
     Non è fantin che sí súbito rua
col volto verso il latte, se si svegli
84molto tardato da l’usanza sua,
     come fec’io, per far migliori spegli
ancor de li occhi, chinandomi a l’onda
87che si deriva perché vi s’immegli;
     e sí come di lei bevve la gronda
de le palpebre mie, cosí mi parve
90di sua lunghezza divenuta tonda.
     Poi come gente stata sotto larve
che pare altro che prima, se si sveste
93la sembianza non sua in che disparve;
     cosí mi si cambiaro in maggior feste
li fiori e le faville, sí ch’io vidi
96ambo le corti del ciel manifeste.
     O isplendor di Dio, per cu’io vidi
l’alto triunfo del regno verace,
99dammi virtú a dir com’io il vidi!