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paradiso - canto xxix 449

     Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso
in questa vita, infino a questa vista,
30non m’è il seguire al mio cantar preciso;
     ma or convien che mio seguir desista
piú dietro a sua bellezza poetando,
33come a l’ultimo suo ciascuno artista.
     Cotal qual io la lascio a maggior bando
che quel de la mia tuba, che deduce
36l’ardua sua materia terminando,
     con atto e voce di spedito duce
ricominciò: «Noi semo usciti fuore
39del maggior corpo, al ciel ch’è pura luce:
     luce intellettual piena d’amore,
amor di vero ben pien di letizia,
42letizia che trascende ogni dolzore.
     Qui vederai l’una e l’altra milizia
di paradiso; e l’una, in quelli aspetti
45che tu vedrai a l’ultima giustizia».
     Come súbito lampo che discetti
li spiriti visivi, sí che priva
48da l’atto l’occhio di piú forti obietti,
     cosí mi circunfulse luce viva;
e lasciommi fasciato di tal velo
51del suo fulgor, che nulla m’appariva.
     «Sempre l’amor che queta questo cielo
accoglie in sé con sí fatta salute,
54per far disposto a sua fiamma il candelo».
     Non fur piú tosto dentro a me venute
queste parole brevi, ch’io compresi
57me sormontar di sopr’a mia virtute;
     e di novella vista mi raccesi,
tale che nulla luce è tanto mera
60che li occhi miei non si fosser difesi:
     e vidi lume in forma di riviera
fluvido di fulgore, intra due rive
63dipinte di mirabil primavera.