Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/45


inferno - canto ix 39

     Quell’è ’l piú basso loco e ’l piú oscuro
e ’l piú lontan dal ciel che tutto gira;
30ben so il cammin, però ti fa sicuro.
     Questa palude che ’l gran puzzo spira
cinge dintorno la cittá dolente,
33u’ non potemo intrare omai senz’ira».
     E altro disse, ma non l’ho a mente;
però che l’occhio m’avea tutto tratto
36ver l’alta torre a la cima rovente,
     dove in un punto furon dritte ratto
tre furie infernal di sangue tinte,
39che membra femminine avieno e atto,
     e con idre verdissime eran cinte;
serpentelli e ceraste avean per crine,
42onde le fiere tempie erano avvinte.
     E quei, che ben conobbe le meschine
de la regina de l’eterno pianto,
45«Guarda» mi disse «le feroci Erine:
     quest’è Megera dal sinistro canto;
quella che piange dal destro è Aletto;
48Tesifone è nel mezzo»; e tacque a tanto.
     Con l’unghie si fendea ciascuna il petto;
battiensi a palme; e gridavan sí alto,
51ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto.
     «Vegna Medusa, sí ’l farein di smalto!»
dicevan tutte riguardando in giuso:
54«mal non vengiammo in Teseo l’assalto».
     «Volgiti in dietro e tien lo viso chiuso;
ché se il Gorgon si mostra, e tu ’l vedessi,
57nulla sarebbe del tornar mai suso».
     Cosí disse ’l maestro; ed elli stessi
mi volse, e non si tenne a le mie mani,
60che con le sue ancor non mi chiudessi.
     O voi ch’avete li ’intelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
63sotto ’l velame de li versi strani.