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436 la divina commedia

     E tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giú tornerai, apri la bocca,
66e non asconder quel ch’io non ascondo».
     Sí come di vapor gelati fiocca
in giuso l’aere nostro, quando il corno
69de la capra del ciel col sol si tocca,
     in su vid’io cosí l’ètera adorno
farsi e fioccar di vapor triunfanti,
72che fatto avean con noi quivi soggiorno.
     Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
e seguí fin che ’l mezzo, per lo molto,
75li tolse il trapassar del piú avanti.
     Onde la donna, che mi vide assolto
de l’attendere in su, mi disse: «Adima
78il viso, e guarda come tu se’ vòlto».
     Da l’ora ch’io avea guardato prima,
i’ vidi mosso per me tutto l’arco
81che fa dal mezzo al fine il primo clima;
     sí ch’io vedea di lá da Gade il varco
folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
84nel qual si fece Europa dolce carco.
     E piú mi fòra discoverto il sito
di questa aiuola; ma ’l sol procedea
87sotto i miei piedi un segno e piú partito.
     La mente innamorata, che donnea
con la mia donna sempre, di ridure
90ad essa li occhi piú che mai ardea:
     e se natura o arte fe’ pasture
da pigliare occhi, per aver la mente,
93in carne umana o ne le sue pitture,
     tutte adunate parrebber neente
ver lo piacer divin che mi refulse,
96quando mi volsi al suo viso ridente.
     E la virtú che lo sguardo m’indulse,
del bel nido di Leda mi divelse,
99e nel ciel velocissimo m’impulse.