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paradiso - canto xxvi 431

     Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
de l’ortolano eterno, am’io cotanto
66quanto da lui a lor di bene è porto».
     Sí com’io tacqui, un dolcissimo canto
risonò per lo cielo, e la mia donna
69dicea con li altri: «Santo, santo, santo!»
     E come a lume acuto si dissonna
per lo spirto visivo che ricorre
72a lo splendor che va di gonna in gonna,
     e lo svegliato ciò che vede aborre,
sí nescia è la súbita vigilia
75fin che la stimativa non soccorre;
     cosí de li occhi miei ogni quisquilia
fugò Beatrice col raggio de’ suoi,
78che rifulgea da piú di mille milia:
     onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
81d’un quarto lume ch’io vidi con noi.
     E la mia donna: «Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor l’anima prima
84che la prima virtú creasse mai».
     Come la fronda, che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
87per la propria virtú che la sublima,
     fec’io in tanto in quant’ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
90un disio di parlare ond’io ardeva;
     e cominciai: «O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
93a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
     divoto quanto posso a te supplíco
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
96e, per udirti tosto, non la dico».
     Tal volta un animal coverto broglia,
sí che l’affetto convien che si paia
99per lo seguir che face a lui la ’nvoglia;