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paradiso - canto xxv 427

     «Spene» diss’io «è uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
69grazia divina e precedente merto.
     Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillò nel mio cor pria
72che fu sommo cantor del sommo duce.
     ‘ Sperino in te ’ ne la sua teodía
dice ‘ color che sanno il nome tuo ’:
75e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?
     Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
ne la pístola poi, sí ch’io son pieno,
78ed in altrui vostra pioggia repluo».
     Mentr’io diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
81súbito e spesso a guisa di baleno;
     indi spirò: «L’amore ond’io avvampo
ancor ver la virtú che mi seguette
84infin la palma e a l’uscir del campo,
     vuol ch’io respiri a te che ti dilette
di lei; ed èmmi a grato che tu diche
87quello che la speranza ti promette».
     E io: «Le nove e le scritture antiche
pongono il segno, ed esso lo mi addita,
90de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.
     Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta,
93e la sua terra è questa dolce vita;
     e ’l tuo fratello assai vie piú digesta,
lá dove tratta de le bianche stole,
96questa revelazion ci manifesta».
     E prima, appresso al fin d’este parole,
Sperent in te ’ di sopr’a noi s’udí,
99a che risposer tutte le carole:
     poscia, tra esse un lume si schiarí
sí che se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
102l’inverno avrebbe un mese d’un sol dí.