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paradiso - canto xix 397

     Ben so io che, se ’n cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
30che ’l vostro non rapprende con velame.
     Sapete come attento io m’apparecchio
ad ascoltar; sapete qual è quello
33dubbio, che m’è digiun cotanto vecchio».
     Quasi falcone ch’esce del cappello,
move la testa e con l’ali si plaude,
36voglia mostrando e facendosi bello,
     vid’io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era contesto,
39con canti quai si sa chi lá su gaude.
     Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
42distinse tanto occulto e manifesto,
     non potè suo valor sí fare impresso
in tutto l’universo, che ’l suo verbo
45non rimanesse in infinito eccesso.
     E ciò fa certo che ’l primo superbo,
che fu la somma d’ogni creatura,
48per non aspettar lume, cadde acerbo;
     e quinci appar ch’ogni minor natura
è corto recettacolo a quel bene
51che non ha fine, e sé con sé misura.
     Dunque nostra veduta, che conviene
essere alcun de’ raggi de la mente
54di che tutte le cose son ripiene,
     non può da sua natura esser possente
tanto, che suo principio non discerna
57molto di lá da quel che l’è parvente.
     Però ne la giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
60com’occhio per lo mare, entro s’interna;
     che, ben che da la proda veggia il fondo,
in pelago nol vede; e nondimeno
63ègli, ma cela lui l’esser profondo.