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394 la divina commedia

     E qual è ’l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando il volto
66suo si discarchi di vergogna il carco,
     tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
69sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
     Io vidi in quella giovial facella
lo sfavillar de l’amor che lí era,
72segnare a li occhi miei nostra favella.
     E come augelli surti di riviera
quasi congratulando a lor pasture,
75fanno di sé or tonda or lunga schiera,
     sí dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
78or D, or I, or L in sue figure.
     Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l’un di questi segni,
81un poco s’arrestavano e taciensi.
     O diva Pegasea, che li ’ngegni
fai gloriosi e rendili longevi,
84ed essi teco le cittadi e’ regni,
     illustrami di te, sí ch’io rilevi
le lor figure com’io l’ho concette:
87paia tua possa in questi versi brevi!
     Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; ed io notai
90le parti sí come mi parver dette.
     ‘ Diligite iustitiam ’ primai
fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
93Qui iudicatis terram ’ fur sezzai.
     Poscia ne l’emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sí che Giove
96pareva argento lí d’oro distinto.
     E vidi scendere altre luci dove
era il colmo de l’emme, e lí quetarsi
99cantando, credo, il ben ch’a sé le move.