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paradiso - canto xviii 393

     Ei cominciò: «In questa quinta soglia
de l’albero che vive de la cima
30e frutta sempre e mai non perde foglia,
     spiriti son beati, che giú, prima
che venissero al ciel, fur di gran voce,
33sí ch’ogni musa ne sarebbe opima.
     Però mira ne’ corni de la croce:
quello ch’io nomerò, lí fará l’atto
36che fa in nube il suo foco veloce».
     Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Iosuè com’el si feo;
39né mi fu noto il dir prima che ’l fatto.
     E al nome de l’alto Maccabeo
vidi moversi un altro roteando,
42e letizia era ferza del paleo.
     Cosí per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguí lo mio attento sguardo,
45com’occhio segue suo falcon volando.
     Poscia trasse Guiglielmo, e Renoardo,
e ’l duca Gottifredi la mia vista
48per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
     Indi, tra l’altre luci mota e mista,
mostrommi l’alma che m’avea parlato
51qual era tra i cantor del cielo artista.
     Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere
54o per parlare o per atto segnato;
     e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
57vinceva li altri e l’ultimo solere.
     E come, per sentir piú dilettanza
bene operando, l’uom di giorno in giorno
60s’accorge che la sua virtute avanza,
     sí m’accors’io che ’l mio girar dintorno
col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
63veggendo quel miracolo piú adorno.