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390 la divina commedia

     Poi che, tacendo, si mostrò spedita
l’anima santa di metter la trama
102in quella tela ch’io le porsi ordita,
     io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
105che vede e vuol dirittamente e ama:
     «Ben veggio, padre mio, sí come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
108tal, ch’è piú grave a chi piú s’abbandona;
     per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
sí che, se ’l loco m’è tolto piú caro,
111io non perdessi li altri per miei carmi.
     Giú per lo mondo senza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
114li occhi de la mia donna mi levaro,
     e poscia per lo ciel di lume in lume,
ho io appreso quel che s’io ridico,
117a molti fia sapor di forte agrume;
     e s’io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro
120che questo tempo chiameranno antico».
     La luce in che rideva il mio tesoro
ch’io trovai lí, si fe’ prima corusca,
123quale a raggio di sole specchio d’oro;
     indi rispose: «Coscienza fusca
o de la propria o de l’altrui vergogna
126pur sentirá la tua parola brusca:
     ma nondimen, rimossa ogni menzogna,
tutta tua vision fa manifesta;
129e lascia pur grattar dov’è la rogna.
     Ché se la voce tua sará molesta
nel primo gusto, vital nutrimento
132lascerá poi, quando sará digesta.
     Questo tuo grido fará come vento,
che le piú alte cime piú percuote;
135e ciò non fa d’onor poco argomento.