Come s’avviva a lo spirar de’ venti
carbone in fiamma, cosí vid’io quella 30luce risplendere a’ miei blandimenti;
e come a li occhi miei si fe’ piú bella,
cosí con voce piú dolce e soave, 33ma non con questa moderna favella,
dissemi: «Da quel dí che fu detto ‘ Ave ’
al parto in che mia madre, ch’è or santa, 36s’alleviò di me ond’era grave,
al suo Leon cinquecento cinquanta
e trenta fiate venne questo foco 39a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
Li antichi miei e io nacqui nel loco
dove si trova pria l’ultimo sesto 42da quei che corre il vostro annual gioco:
basti de’ miei maggiori udirne questo;
chi ei si fosser e onde venner quivi, 45piú è tacer che ragionare onesto.
Tutti color ch’a quel tempo eran ivi
da poter arme tra Marte e ’l Battista, 48erano il quinto di quei ch’or son vivi;
ma la cittadinanza, ch’è or mista
di Campi, di Certaldo e di Fegghine, 51pura vedíesi ne l’ultimo artista.
Oh quanto fòra meglio esser vicine
quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo 54e a Trespiano aver vostro confine,
ch’averle dentro, e sostener lo puzzo
del villan d’Aguglion, di quel da Signa, 57che giá per barattare ha l’occhio aguzzo!
Se la gente ch’al mondo piú traligna
non fosse stata a Cesare noverca, 60ma come madre a suo figlio benigna,
tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
che si sarebbe vòlto a Simifonti, 63lá dove andava l’avolo a la cerca;