Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/382

376 la divina commedia

     Qui vince la memoria mia lo ’ngegno;
ché ’n quella croce lampeggiava Cristo
105sí, ch’io non so trovare esemplo degno:
     ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserá di quel ch’io lasso,
108vedendo in quell’albor balenar Cristo.
     Di corno in corno e tra la cima e ’l basso
si movíen lumi, scintillando forte
111nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
     cosí si veggion qui diritte e tòrte,
veloci e tarde, rinnovando vista,
114le minuzie de’ corpi, lunghe e corte,
     moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l’ombra che, per sua difesa,
117la gente con ingegno e arte acquista.
     E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
120a tal, da cui la nota non è intesa,
     cosí da’ lumi che lí m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
123che mi rapiva, senza intender l’inno.
     Ben m’accors’io ch’elli era d’alte lode,
però ch’a me venía ‘ Resurgi ’ e ‘ Vinci ’
126come a colui che non intende e ode.
     Io m’innamorava tanto quinci,
che ’nfino a lí non fu alcuna cosa
129che mi legasse con sí dolci vinci.
     Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
132ne’ quai mirando mio disio ha posa;
     ma chi s’avvede che i vivi suggelli
d’ogni bellezza piú fanno piú suso,
135e ch’io non m’era lí rivolto a quelli,
     escusar puommi di quel ch’io m’accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero;
138ché ’l piacer santo non è qui dischiuso,
     perché si fa, montando, piú sincero.