Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/356

350 la divina commedia

     si leva un colle, e non surge molt’alto,
lá onde scese giá una facella
30che fece a la contrada un grande assalto.
     D’una radice nacqui e io ed ella:
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
33perché mi vinse il lume d’esta stella;
     ma lietamente a me medesma indulgo
la cagion di mia sorte, e non mi noia:
36che parría forse forte al vostro vulgo.
     Di questa luculenta e cara gioia
del nostro cielo che piú m’è propinqua,
39grande fama rimase; e pria che muoia,
     questo centesimo anno ancor s’incinqua:
vedi se far si dée l’uomo eccellente,
42sí ch’altra vita la prima relinqua.
     E ciò non pensa la turba presente
che Tagliamento e Adice richiude,
45né per esser battuta ancor si pente;
     ma tosto fia che Padova al palude
cangerá l’acqua che Vicenza bagna,
48per essere al dover le genti crude;
     e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
tal signoreggia e va con la testa alta,
51che giá per lui carpir si fa la ragna.
     Piangerá Feltro ancora la difalta
de l’empio suo pastor, che sará sconcia
54sí, che per simil non s’entrò in Malta.
     Troppo sarebbe larga la bigoncia
che ricevesse il sangue ferrarese,
57e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia,
     che donerá questo prete cortese
per mostrarsi di parte; e cotai doni
60conformi fieno al viver del paese.
     Su sono specchi, voi dicete Troni,
onde refulge a noi Dio giudicante:
63sí che questi parlar ne paion boni».