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346 la divina commedia

     Fulgíemi giá in fronte la corona
di quella terra che ’l Danubio riga
66poi che le ripe tedesche abbandona;
     e la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo
69che riceve da Euro maggior briga,
     non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
72nati per me di Carlo e di Ridolfo,
     se mala signoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
75mosso Palermo a gridar: ‘ Mora, mora! ’.
     E se mio frate questo antivedesse,
l’avara povertá di Catalogna
78giá fuggiría, perché non li offendesse:
     ché veramente proveder bisogna
per lui, o per altrui, sí ch’a sua barca
81carcata piú di carco non si pogna.
     La sua natura, che di larga parca
discese, avría mestier di tal milizia
84che non curasse di mettere in arca».
     «Però ch’i’ credo che l’alta letizia
che ’l tuo parlar m’infonde, signor mio,
87lá ’ve ogni ben si termina e s’inizia,
     per te si veggia come la vegg’io,
grata m’è piú; e anco quest’ho caro
90perché ’l discerni rimirando in Dio.
     Fatto m’hai lieto, e cosí mi fa chiaro,
poi che parlando a dubitar m’hai mosso
93com’esser può di dolce seme amaro».
     Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
96terrai il viso come tieni ’l dosso.
     Lo ben che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
99sua provedenza in questi corpi grandi;