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28 la divina commedia

     Ed elli a me: «Dopo lunga tenzone
verranno al sangue, e la parte selvaggia
66caccerá l’altra con molta offensione.
     Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l’altra sormonti
69con la forza di tal che testé piaggia:
     alte terrá lungo tempo le fronti,
tenendo l’altra sotto gravi pesi,
72come che di ciò pianga o che n’adonti.
     Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
75le tre faville c’hanno i cuori accesi».
     Qui pose fine al lacrimabil suono;
e io a lui: «Ancor vo’ che m’insegni,
78e che di piú parlar mi facci dono.
     Farinata e il Tegghiaio, che fur sí degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca
81e li altri ch’a ben far poser li ’ngegni,
     dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
84se ’l ciel li addolcia, o lo ’nferno li attosca».
     E quelli: «Ei son tra l’anime piú nere:
diverse colpe giú li grava al fondo;
87se tanto scendi, lá i potrai vedere.
     Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
pregoti ch’a la mente altrui mi rechi:
90piú non ti dico e piú non ti rispondo».
     Li diritti occhi torse allora in biechi,
guardommi un poco, e poi chinò la testa:
93cadde con essa a par de li altri ciechi.
     E ’l duca disse a me: «Piú non si desta
di qua dal suon de l’angelica tromba,
96quando verrá la nimica podesta:
     ciascun rivederá la trista tomba,
ripiglierá sua carne e sua figura,
99udirá quel ch’in eterno rimbomba».