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inferno - canto vi 27

     Qual è quel cane ch’abbaiando agugna,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
30ché solo a divorarlo intende e pugna,
     cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
33l’anime sí, ch’esser vorrebber sorde.
     Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponevam le piante
36sopra lor vanitá che par persona.
     Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
39ch’ella ci vide passarsi davante.
     «O tu che se’ per questo inferno tratto,»
mi disse «riconoscimi, se sai;
42tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».
     E io a lei: «L’angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
45sí che non par ch’i’ ti vedessi mai.
     Ma dimmi chi tu se’ che ’n sí dolente
loco se’ messa ed a sí fatta pena,
48che s’altra è maggio, nulla è sí spiacente».
     Ed elli a me: «La tua cittá, ch’è piena
d’invidia sí che giá trabocca il sacco,
51seco mi tenne in la vita serena.
     Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
54come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
     E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
57per simil colpa»; e piú non fe’ parola.
     Io li risposi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sí, ch’a lagrimar mi ’nvita;
60ma dimmi, se tu sai, a che verranno
     li cittadin de la cittá partita;
s’alcun v’è giusto, e dimmi la cagione
63per che l’ha tanta discordia assalita».