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paradiso - canto i 313

     Beatrice tutta ne l’eterne rote
fissa con li occhi stava; e io in lei
66le luci fissi, di lá su remote.
     Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fe’ Glauco nel gustar de l’erba
69che ’l fe’ consorte in mar de li altri Dei:
     trasumanar significar per verba
non si poría; però l’esemplo basti
72a cui esperienza grazia serba.
     S’i’ era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che ’l ciel governi,
75tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
     Quando la rota, che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
78con l’armonia che temperi e discerni,
     parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
81lago non fece mai tanto disteso.
     La novitá del suono, e ’l grande lume,
di lor cagion m’accesero un disio
84mai non sentito di cotanto acume;
     ond’ella, che vedea me sí com’io,
a quietarmi l’animo commosso,
87pria ch’io a dimandar, la bocca aprío,
     e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sí che non vedi
90ciò che vedresti se l’avessi scosso.
     Tu non se’ in terra, sí come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
93non corse come tu ch’ad esso riedi».
     S’io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
96dentro ad un nuovo piú fu’ inretito,
     e dissi: «Giá contento requievi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
99com’io trascenda questi corpi lievi».