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purgatorio - canto xxxiii 305

     Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima
per singular cagione essere eccelsa
66lei tanto, e sí travolta ne la cima:
     e se stati non fossero acqua d’Elsa
li pensier vani intorno a la tua mente,
69e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa,
     per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, ne l’interdetto,
72conosceresti a l’arbor moralmente.
     Ma perch’io veggio te ne lo ’ntelletto
fatto di pietra, e in pietrato, tinto,
75sí che t’abbaglia il lume del mio detto,
     voglio anco, e se non scritto almen dipinto,
che ’l te ne porti dentro a te, per quello
78che si reca il bordon di palma cinto».
     E io: «Sí come cera da suggello,
che la figura impressa non trasmuta,
81segnato è or da voi lo mio cervello:
     ma perché tanto sovra mia veduta
vostra parola disiata vola,
84che piú la perde quanto piú s’aiuta?»
     «Perché conoschi» disse «quella scuola
c’hai seguitata, e veggi sua dottrina
87come può seguitar la mia parola;
     e veggi vostra via da la divina
distar cotanto, quanto si discorda
90da terra il ciel che piú alto festina».
     Ond’io risposi lei: «Non mi ricorda
ch’i’ straniasse me giá mai da voi,
93né honne coscienza che rimorda».
     «E se tu ricordar non te ne puoi,»
sorridendo rispose «or ti rammenta
96come bevesti di Letè ancoi;
     e se dal fummo foco s’argomenta,
cotesta oblivion chiaro conchiude
99colpa ne la tua voglia altrove attenta.