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purgatorio - canto xxxii 301

     «Qui sarai tu poco tempo silvano;
e sarai meco senza fine cive
102di quella Roma onde Cristo è romano.
     Però, in pro del mondo che mal vive,
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
105ritornato di lá, fa che tu scrive».
     Cosí Beatrice; e io, che tutto ai piedi
de’ suoi comandamenti era divoto,
108la mente e li occhi ov’ella volle diedi.
     Non scese mai con sí veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
111da quel confine che piú va remoto,
     com’io vidi calar l’uccel di Giove
per l’alber giú, rompendo de la scorza,
114non che de’ fiori e de le foglie nove;
     e ferí ’l carro di tutta sua forza:
ond’el piegò come nave in fortuna,
117vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.
     Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del triunfal veiculo una volpe
120che d’ogni pasto buon parea digiuna;
     ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa
123quanto sofferse l’ossa senza polpe.
     Poscia, per indi ond’era pria venuta,
l’aguglia vidi scender giú ne l’arca
126del carro e lasciar lei di sé pennuta;
     e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce uscí del cielo e cotal disse:
129«O navicella mia, com mal se’ carca!»
     Poi parve a me che la terra s’aprisse
tr’ambo le ruote; e vidi uscirne un drago
132che per lo carro su la coda fisse:
     e come vespa che ritragge l’ago,
a sé traendo la coda maligna,
135trasse del fondo, e gissen vago vago.