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300 la divina commedia

     S’io potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa,
66li occhi a cui pur vegghiar costò sí caro;
     come pintor che con esemplo pinga,
disegnerei com’io m’addormentai;
69ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.
     Però trascorro a quando mi svegliai,
e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo
72del sonno, e un chiamar: «Surgi, che fai?»
     Quali a veder de’ fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti
75e perpetue nozze fa nel cielo,
     Pietro e Giovanni e Iacopo condotti,
e vinti, ritornaro a la parola
78da la qual furon maggior sonni rotti,
     e videro scemata loro scuola
cosí di Moisè come d’Elia,
81e al maestro suo cangiata stola;
     tal torna’ io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
84fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria.
     E tutto in dubbio dissi: «Ov’è Beatrice?»
Ond’ella: «Vedi lei sotto la fronda
87nova sedere in su la sua radice;
     vedi la compagnia che la circonda:
li altri dopo il grifon sen vanno suso
90con piú dolce canzone e piú profonda».
     E se piú fu lo suo parlar diffuso,
non so, però che giá ne li occhi m’era
93quella ch’ad altro intender m’avea chiuso.
     Sola sedeasi in su la terra vera,
come guardia lasciata lí del plaustro
96che legar vidi a la biforme fèra.
     In cerchio le facevan di sé claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano
99che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.