Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/281


purgatorio - canto xxvii 275

     Dritta salía la via per entro ’l sasso
verso tal parte ch’io toglieva i raggi
66dinanzi a me del sol ch’era giá basso;
     e di pochi scaglion levammo i saggi,
che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
69sentimmo dietro e io e li miei saggi.
     E pria che ’n tutte le sue parti immense
fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,
72e notte avesse tutte sue dispense,
     ciascun di noi d’un grado fece letto;
ché la natura del monte ci affranse
75la possa del salir piú e ’l diletto.
     Quali si fanno ruminando manse
le capre, state rapide e proterve
78sovra le cime avante che sien pranse,
     tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
guardate dal pastor, che ’n su la verga
81poggiato s’è e lor poggiato serve;
     e quale il mandrian che fuori alberga,
lungo il peculio suo queto pernotta,
84guardando perché fiera non lo sperga;
     tali eravam noi tutti e tre allotta,
io come capra, ed ei come pastori,
87fasciati quinci e quindi d’alta grotta.
     Poco parer potea lí del di fuori;
ma, per quel poco, vedea io le stelle
90di lor solere e piú chiare e maggiori.
     Sí ruminando e sí mirando in quelle,
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
93anzi che ’l fatto sia, sa le novelle.
     Ne l’ora, credo, che de l’oriente
prima raggiò nel monte Citerea,
96che di foco d’amor par sempre ardente,
     giovane e bella in sogno mi parea
donna vedere andar per una landa
99cogliendo fiori; e cantando dicea: