Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lacrime e’ sospiri 105che per lo monte aver sentiti puoi.
Secondo che ci affliggono i disiri
e li altri affetti, l’ombra si figura; 108e quest’è la cagion di che tu miri».
E giá venuto a l’ultima tortura
s’era per noi, e vòlto a la man destra, 111ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso 114che la reflette e via da lei sequestra;
ond’ir ne convenía dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temea il foco 117quinci, e quindi temea cadere giuso.
Lo duca mio dicea: «Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno, 120però ch’errar potrebbesi per poco».
‛ Summae Deus clementiae ’ nel seno
al grande ardore allora udi’ cantando, 123che di volger mi fe’ caler non meno:
e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch’io guardava a loro e a’ miei passi 126compartendo la vista a quando a quando.
Appresso il fine ch’a quell’inno fassi,
gridavano alto: ‛ Virum non cognosco ’; 129indi ricominciavan l’inno bassi.
Finitolo anco, gridavano: «Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne 132che di Venere avea sentito il tosco».
Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fur casti 135come virtute e matrimonio imponne.
E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che ’l foco li abbrucia: 138con tal cura conviene e con tai pasti
che la piaga da sezzo si ricucia.