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266 la divina commedia

     Apri a la veritá che viene il petto;
e sappi che, sí tosto come al feto
69l’articular del cerebro è perfetto,
     lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant’arte di natura, e spira
72spirito novo, di vertú repleto,
     che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
75che vive e sente e sé in sé rigira.
     E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sol che si fa vino,
78giunto a l’omor che de la vite cola.
     Quando Lachesis non ha piú del lino,
solvesi da la carne, ed in virtute
81ne porta seco e l’umano e ’l divino:
     l’altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
84in atto molto piú che prima agute.
     Senza restarsi, per se stessa cade
mirabilmente a l’una de le rive:
87quivi conosce prima le sue strade.
     Tosto che loco lí la circunscrive,
la virtú informativa raggia intorno
90cosí e quanto ne le membra vive:
     e come l’aere, quand’è ben piorno,
per l’altrui raggio che ’n sé si reflette,
93di diversi color diventa adorno;
     cosí l’aere vicin quivi si mette
in quella forma che in lui suggella
96virtualmente l’alma che ristette;
     e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco lá ’vunque si muta,
99segue lo spirto sua forma novella.
     Però che quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
102ciascun sentire infino a la veduta.