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258 la divina commedia

     nel qual sará in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
102l’andar mostrando con le poppe il petto.
     Quai barbare fur mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
105o spiritali o altre discipline?
     Ma se le svergognate fosser certe
di quel che ’l ciel veloce loro ammanna,
108giá per urlare avríen le bocche aperte;
     ché se l’antiveder qui non m’inganna,
prima fien triste che le guance impeli
111colui che mo si consola con nanna.
     Deh, frate, or fa che piú non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
114tutta rimira lá dove ’l sol veli».
     Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
117ancor fia grave il memorar presente.
     Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l’altr’ier, quando tonda
120vi si mostrò la suora di colui»
     e ’l sol mostrai. «Costui per la profonda
notte menato m’ha de’ veri morti
123con questa vera carne che ’l seconda.
     Indi m’han tratto su li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
126che drizza voi che ’l mondo fece torti.
     Tanto dice di farmi sua compagna,
che io sarò lá dove fia Beatrice:
129quivi convien che senza lui rimagna.
     Virgilio è questi che cosí mi dice»
e additailo; «e quest’altro è quell’ombra
132per cui scosse dianzi ogni pendice
     lo vostro regno, che da sé lo sgombra».