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252 la divina commedia

     Ed elli a lui: «Tu prima m’inviasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
66e prima appresso Dio m’alluminasti.
     Facesti come quei che va di notte
che porta il lume dietro e sé non giova,
69ma dopo sé fa le persone dotte,
     quando dicesti: ‛ Secol si rinnova;
torna giustizia e primo tempo umano,
72e progenie scende da ciel nova ’.
     Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,
75a colorar distenderò la mano.
     Giá era ’l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
78per li messaggi de l’eterno regno;
     e la parola tua sopra toccata
si consonava a’ nuovi predicanti;
81ond’io a visitarli presi usata.
     Vennermi poi parendo tanto santi,
che quando Domizian li perseguette,
84senza mio lacrimar non fur lor pianti;
     e mentre che di lá per me si stette,
io li sovvenni; e i lor dritti costumi
87fer dispregiare a me tutte altre sètte.
     E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
di Tebe poetando, ebb’io battesmo;
90ma per paura chiuso cristian fu’mi,
     lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
93cerchiar mi fe’ piú che ’l quarto centesmo.
     Tu dunque che levato hai il coperchio
che m’ascondeva quanto bene io dico,
96mentre che del salire avem soverchio,
     dimmi dov’è Terenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Vario, se lo sai:
99dimmi s’e’ son dannati, ed in qual vico».