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purgatorio - canto xxi 247

     l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,
venendo su, non potea venir sola,
30però ch’al nostro modo non adocchia.
     Ond’io fui tratto fuor de l’ampia gola
d’inferno per mostrarli, e mosterrolli
33oltre, quanto ’l potrá menar mia scuola.
     Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli
diè dianzi il monte, e perché tutti ad una
36parver gridare infino a’ suoi piè molli».
     Sí mi diè, dimandando, per la cruna
del mio disio, che pur con la speranza
39si fece la mia sete men digiuna.
     Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
ordine senta la religione
42de la montagna, o che sia fuor d’usanza.
     Libero è qui da ogni alterazione:
di quel che ’l ciel da sé in sé riceve
45esser ci puote, e non d’altro, cagione.
     Per che non pioggia, non grando, non neve,
non rugiada, non brina piú su cade
48che la scaletta di tre gradi breve;
     nuvole spesse non paion né rade,
né coruscar, né figlia di Taumante,
51che di lá cangia sovente contrade;
     secco vapor non surge piú avante
ch’al sommo de’ trè gradi ch’io parlai,
54dov’ha il vicario di Pietro le piante.
     Trema forse piú giú poco od assai;
ma per vento che ’n terra si nasconda,
57non so come, qua su non tremò mai.
     Tremaci quando alcuna anima monda
sentesi, sí che surga o che si mova
60per salir su; e tal grido seconda.
     De la mondizia sol voler fa prova,
che tutta libera a mutar convento
63l’alma sorprende, e di voler le giova: