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244 la divina commedia

     tanto è risposta a tutte nostre prece
quanto ’l dí dura; ma com’el s’annotta,
102contrario suon prendemo in quella vece.
     Noi repetiam Pigmalion allotta,
cui traditore e ladro e parricida
105fece la voglia sua de l’oro ghiotta;
     e la miseria de l’avaro Mida,
che seguí a la sua dimanda ingorda,
108per la qual sempre convien che si rida.
     Del folle Acán ciascun poi si ricorda,
come furò le spoglie, sí che l’ira
111di Iosuè qui par ch’ancor lo morda.
     Indi accusiam col marito Safira;
lodiamo i calci ch’ebbe Eliodoro;
114ed in infamia tutto il monte gira
     Polinestor ch’ancise Polidoro;
ultimamente ci si grida: ‛ Crasso,
117dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro? ’
     Talor parla l’uno alto e l’altro basso,
secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona
120or a maggiore e ora a minor passo:
     però al ben che ’l dí ci si ragiona,
dianzi non era io sol; ma qui da presso
123non alzava la voce altra persona».
     Noi eravam partiti giá da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
126tanto quanto al poder n’era permesso,
     quand’io senti’, come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
129qual prender suol colui ch’a morte vada:
     certo non si scotea sí forte Delo,
pria che Latona in lei facesse ’l nido
132a parturir li due occhi del cielo.
     Poi cominciò da tutte parti un grido
tal, che ’l maestro inverso me si feo,
135dicendo: «Non dubbiar, mentr’io ti guido».