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238 la divina commedia

     Quale il falcon, che prima a’ piè si mira,
indi si volge al grido e si protende
66per lo disio del pasto che lá il tira;
     tal mi fec’io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
69n’andai infín dove ’l cerchiar si prende.
     Com’io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
72giacendo a terra tutta volta in giuso.
     ‛ Adhaesit pavimento anima mea
sentía dir lor con sí alti sospiri,
75che la parola a pena s’intendea.
     «O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
78drizzate noi verso li altri saliri».
     «Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via piú tosto,
81le vostre destre sien sempre di furi».
     Cosí pregò il Poeta, e sí risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
84nel parlare avvisai l’altro nascosto;
     e volsi li occhi a li occhi al signor mio:
ond’elli m’assenti con lieto cenno
87ciò che chiedea la vista del disio.
     Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
90le cui parole pria notar mi fenno,
     dicendo: «Spirto, in cui pianger matura
quel senza ’l quale a Dio tornar non puossi,
93sosta un poco per me tua maggior cura.
     Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
al su, mi dí, e se vuo’ ch’io t’impetri
96cosa di lá ond’io vivendo mossi».
     Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
99scias quod ego fui successor Petri.