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234 la divina commedia

     «Maria corse con fretta a la montagna;
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
102punse Marsilia, e poi corse in Ispagna».
     «Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda
per poco amor,» gridavan li altri appresso
105«ché studio di ben far grazia rinverda».
     «O gente in cui fervore aguto adesso
ricompie forse negligenza e indugio
108da voi per tepidezza in ben far messo,
     questi che vive, e certo i’ non vi bugio,
vuole andar su, pur che il sol ne riluca;
111però ne dite ond’è presso il pertugio».
     Parole furon queste del mio duca;
e un di quelli spirti disse: «Vieni
114di retro a noi, e troverai la buca.
     Noi siam di voglia a muoverci sí pieni,
che restar non potem; però perdona,
117se villania nostra giustizia tieni.
     Io fui abate in San Zeno a Verona
sotto lo ’mperio del buon Barbarossa,
120di cui dolente ancor Melan ragiona.
     E tale ha giá l’un piè dentro la fossa,
che tosto piangerá quel monastero,
123e tristo fia d’averne avuto possa;
     perché suo figlio, mal del corpo intero,
e de la mente peggio, e che mal nacque,
126ha posto in loco di suo pastor vero».
     Io non so se piú disse o s’ei si tacque,
tant’era giá di lá da noi trascorso;
129ma questo intesi, e ritener mi piacque.
     E quei che m’era ad ogni uopo soccorso
disse: «Volgiti qua, vedine due
132venir dando a l’accidia di morso».
     Di retro a tutti dicean: «Prima fue
morta la gente a cui il mar s’aperse,
135che vedesse Iordan le rede sue»;