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18 la divina commedia

     Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
66la selva, dico, di spiriti spessi.
     Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand’io vidi un foco
69ch’emisperio di tenebre vincía.
     Di lungi v’eravamo ancora un poco,
ma non sí ch’io non discernessi in parte
72ch’orrevol gente possedea quel loco.
     «O tu ch’onori e scienza e arte,
questi chi son c’hanno cotanta onranza,
75che dal modo de li altri li diparte?»
     E quelli a me: «L’onrata nominanza
che di lor suona su ne la tua vita,
78grazia acquista nel ciel che sí li avanza».
     Intanto voce fu per me udita:
«Onorate l’altissimo poeta!
81l’ombra sua torna, ch’era dipartita».
     Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand’ombre a noi venire:
84sembianza avevan né trista né lieta.
     Lo buon maestro cominciò a dire:
«Mira colui con quella spada in mano,
87che vien dinanzi ai tre sí come sire:
     quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che viene,
90Ovidio è il terzo, e l’ultimo Lucano.
     Però che ciascun meco si conviene
nel nome che sonò la voce sola,
93fannomi onore, e di ciò fanno bene».
     Cosí vidi adunar la bella scuola
di quel signor de l’altissimo canto
96che sovra li altri com’aquila vola.
     Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno;
99e il mio maestro sorrise di tanto: