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228 la divina commedia

     E come questa imagine rompeo
sé per se stessa, a guisa d’una bulia
33cui manca l’acqua sotto qual si feo,
     surse in mia visione una fanciulla
piangendo forte, e diceva: «O regina,
36perché per ira hai voluto esser nulla?
     Ancisa t’hai per non perder Lavina:
or m’hai perduta! Io son essa che lutto,
39madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina».
     Come si frange il sonno ove di butto
nova luce percuote il viso chiuso,
42che fratto guizza pria che muoia tutto;
     cosí l’imaginar mio cadde giuso
tosto che lume il volto mi percosse,
45maggior assai che quel ch’è in nostro uso.
     I’ mi volgea per veder ov’io fosse,
quando una voce disse «Qui si monta»,
48che da ogni altro intento mi rimosse;
     e fece la mia voglia tanto pronta
di riguardar chi era che parlava,
51che mai non posa, se non si raffronta:
     ma come al sol che nostra vista grava
e per soverchio sua figura vela,
54cosí la mia virtú quivi mancava.
     «Questo è divino spirito, che ne la
via da ir su ne drizza senza prego,
57e col suo lume se medesmo cela.
     Sí fa con noi, come l’uom si fa sego;
ché quale aspetta prego e l’uopo vede,
60malignamente giá si mette al nego.
     Or accordiamo a tanto invito il piede:
procacciam di salir pria che s’abbui,
63ché poi non si poría, se ’l dí non riede».
     Cosí disse il mio duca, e io con lui
volgemmo i nostri passi ad una scala;
66e tosto ch’io al primo grado fui,