vendica te di quelle braccia ardite
ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistráto». 102E ’l signor mi parea, benigno e mite,
risponder lei con viso temperato:
«Che farem noi a chi mal ne disira, 105se quei che ci ama è per noi condannato?»
Poi vidi genti accese in foco d’ira
con pietre un giovinetto ancider, forte 108gridando a sé pur: «Martira, martira!»
e lui vedea chinarsi, per la morte
che l’aggravava giá, inver la terra, 11ma de li occhi facea sempre al ciel porte,
orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a’ suoi persecutori, 114con quello aspetto che pietá disserra.
Quando l’anima mia tornò di fuori
a le cose che son fuor di lei vere, 117io riconobbi i miei non falsi errori.
Lo duca mio, che mi potea vedere
far sí com’uom che dal sonno si slega, 120disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
ma se’ venuto piú che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte, 123a guisa di cui vino o sonno piega?»
«O dolce padre mio, se tu m’ascolte,
io ti dirò» diss’io «ciò che m’apparve 126quando le gambe mi furon sí tolte».
Ed ei: «Se tu avessi cento larve
sovra la faccia, non mi sarian chiuse 129le tue cogitazion, quantunque parve:
ciò che vedesti, fu perché non scuse
d’aprir lo core a l'acque de la pace 132che da l’eterno fonte son diffuse.
Non dimandai ‛ Che hai? ’ per quel che face
chi guarda pur con l’occhio che non vede, 135quando disanimato il corpo giace;