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purgatorio - canto xv 219

     Ed elli a me: «Però che tu rificchi
la mente pur a le cose terrene,
66di vera luce tenebre dispicchi.
     Quello infinito e ineffabil bene
che lá su è, cosí corre ad amore
69com’a lucido corpo raggio viene.
     Tanto si dá quanto trova d’ardore;
sí che, quantunque caritá si stende,
72cresce sovr’essa l’eterno valore;
     e quanta gente piú lá su s’intende,
piú v’è da bene amare, e piú vi s’ama,
75e come specchio l’uno a l’altro rende.
     E se la mia ragion non ti disfama,
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
78ti torrá questa e ciascun’altra brama:
     procaccia pur che tosto sieno spente,
come son giá le due, le cinque piaghe,
81che si richiudon per esser dolente».
     Com’io voleva dicer ‛ Tu m’appaghe ’,
vidimi giunto in su l’altro girone,
84sí che tacer mi fer le luci vaghe.
     Ivi mi parve in una visione
estatica di subito esser tratto,
87e vedere in un tempio piú persone;
     e una donna, in su l’entrar, con atto
dolce di madre dicer: «Figliuol mio,
90perché hai tu cosí verso noi fatto?
     Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
ti cercavamo». E come qui si tacque,
93ciò che pareva prima, disparío.
     Indi m’apparve un’altra con quell’acque
giú per le gote che ’l dolor distilla
96quando di gran dispetto in altrui nacque,
     e dir: «Se tu se’ sire de la villa
del cui nome ne’ Dei fu tanta lite,
99e onde ogni scienza disfavilla,