Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO XV
Quanto, tra l’ultimar de l’ora terza
e ’l principio del dí, par de la spera
3che sempre a guisa di fanciullo scherza,
tanto pareva giá inver la sera
essere al sol del suo corso rimaso;
6vespero lá, e qui mezza notte era.
E i raggi ne ferían per mezzo ’l naso,
perché per noi girato era sí ’l monte,
9che giá dritti andavamo inver l’occaso,
quand’io senti’ a me gravar la fronte
a lo splendore assai più che di prima,
12e stupor m’eran le cose non conte;
ond’io levai le mani inver la cima
de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,
15che del soverchio visibile lima.
Come quando da l’acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l’opposita parte,
18salendo su per lo modo parecchio
a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
21sí come mostra esperienza e arte;
cosí mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
24per ch’a fuggir la mia vista fu ratta.
«Che è quel, dolce padre, a che non posso
schermar lo viso tanto che mi vaglia,»
27diss’io «e pare inver noi esser mosso?»