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216 la divina commedia

     Come da lei l’udir nostro ebbe tregua,
ed ecco l’altra con sí gran fracasso,
138che somigliò tonar che tosto segua:
     «Io sono Aglauro che divenni sasso»;
e allor, per ristrignermi al poeta,
141in destro feci e non innanzi il passo.
     Giá era l’aura d’ogni parte queta;
ed el mi disse: «Quel fu ’l duro camo
144che dovría l’uom tener dentro a sua meta:
     ma voi prendete l’esca, sí che l’amo
de l’antico avversaro a sé vi tira;
147e però poco val freno o richiamo.
     Chiámavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze eterne,
150e l’occhio vostro pur a terra mira;
     onde vi batte chi tutto discerne».