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purgatorio - canto xiv 213

     E l’ombra che di ciò domandata era
si sdebitò cosí: «Non so; ma degno
30ben è che ’l nome di tal valle pèra;
     ché dal principio suo, ov’è sí pregno
l’alpestro monte ond’è tronco Peloro,
33che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno,
     infin lá ’ve si rende per ristoro
di quel che ’l ciel de la marina asciuga,
36ond’hanno i fiumi ciò che va con loro,
     virtú cosí per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
39del luogo, o per mal uso che li fruga:
     ond’hanno sí mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
42che par che Circe li avesse in pastura.
     Tra brutti porci, piú degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso,
45dirizza prima il suo povero calle.
     Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi piú che non chiede lor possa,
48e a lor disdegnosa torce il muso.
     Vassi caggendo; e quant’ella piú ’ngrossa,
tanto piú trova di can farsi lupi
51la maladetta e sventurata fossa.
     Discesa poi per piú pelaghi cupi,
trova le volpi sí piene di froda,
54che non temono ingegno che le occupi.
     Né lascerò di dir perch’altri m’oda,
e buon sará costui, s’ancor s’ammenta
57di ciò che vero spirto mi disnoda:
     io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
60del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
     Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva:
63molti di vita e sé di pregio priva.