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purgatorio - canto xiii 209

     perché ’n altrui pietá tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
66ma per la vista che non meno agogna.
     E come a li orbi non approda il sole,
cosí a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,
69luce del ciel di sé largir non vuole;
     ch’a tutti un fil di ferro i cigli fora
e cuce sí come a sparvier selvaggio
72si fa, però che queto non dimora.
     A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
75per ch’io mi volsi al mio consiglio saggio.
     Ben sapev’ ei che volea dir lo muto,
e però non attese mia dimanda,
78ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».
     Virgilio mi venía da quella banda
de la cornice onde cader si puote,
81perché da nulla sponda s’inghirlanda;
     da l’altra parte m’eran le divote
ombre, che per l’orribile costura
84premevan sí, che bagnavan le gote.
     Volsimi a loro e «O gente sicura»
incominciai «di veder l’alto lume
87che ’l disio vostro solo ha in sua cura,
     se tosto grazia resolva le schiume
di vostra coscienza, sí che chiaro
90per essa scenda de la mente il fiume,
     ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
s’anima è qui tra voi che sia latina;
93e forse lei sará buon s’i’ l’apparo».
     «O frate mio, ciascuna è cittadina
d’una vera cittá; ma tu vuo’ dire
96che vivesse in Italia peregrina».
     Questo mi parve per risposta udire
piú innanzi alquanto che lá dov’io stava,
99ond’io mi feci ancor piú lá sentire.