ogni uom ebbi in dispetto tanto avante,
ch’io ne mori’; come, i Sanesi sanno 66e sallo in Campagnatico ogni fante.
Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fe’, ché tutt’i miei consorti 69ha ella tratti seco nel malanno.
E qui convien ch’io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia, 72poi ch’io nol fe’ tra’ vivi, qui tra’ morti».
Ascoltando chinai in giú la faccia;
e un di lor, non questi che parlava, 75si torse sotto il peso che li ’mpaccia,
e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi 78a me che tutto chin con loro andava.
«Oh!» diss’io lui «non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte 81ch’alluminar chiamata è in Parisi?»
«Frate,» diss’elli «piú ridon le carte
che pennelleggia Franco bolognese: 84l’onore è tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare’ io stato sí cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio 87de l’eccellenza ove mio core intese:
di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse 90che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
Oh vana gloria de l'umane posse!
com poco verde in su la cima dura, 93se non è giunta da l’etati grosse!
Credette Cimabue ne la pintura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, 96sí che la fama di colui è scura:
cosí ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato 99chi l’uno e l’altro caccerá del nido.