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CANTO IX
La concubina di Titone antico
giá s’imbiancava al balco d’oriente,
3fuor de le braccia del suo dolce amico;
di gemme la sua fronte era lucente,
poste in figura del freddo animale
6che con la coda percuote la gente;
e la notte de’ passi con che sale
fatti avea due nel loco ov’eravamo,
9e ’l terzo giá chinava in giuso l’ale;
quand’io, che meco avea di quel d’Adamo,
vinto dal sonno, in su l’erba inchinai
12lá ’ve giá tutti e cinque sedevamo.
Ne l’ora che comincia i tristi lai
la rondinella presso a la mattina,
15forse a memoria de’ suoi primi guai,
e che la mente nostra, peregrina
piú da la carne e men da’ pensier presa,
18a le sue vision quasi è divina,
in sogno mi parea veder sospesa
un’aquila nel ciel con penne d’oro,
21con l’ali aperte ed a calare intesa;
ed esser mi parea lá dove foro
abbandonati i suoi da Ganimede,
24quando fu ratto al sommo concistoro.
Fra me pensava: «Forse questa fiede
pur qui per uso, e forse d’altro loco
27disdegna di portarne suso in piede».