Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/189


purgatorio - canto vii 183

     Poco allungati c’eravam ai lici,
quand’io m’accorsi che ’l monte era scemo,
66a guisa che i vallon li sceman quici.
     «Colá» disse quell’ombra «n’anderemo
dove la costa face di sé grembo;
69e quivi il novo giorno attenderemo».
     Tra erto e piano era un sentiero sghembo,
che ne condusse in fianco de la lacca,
72lá dove piú ch’a mezzo muore il lembo.
     Oro e argento fine, cocco e biacca,
indico, legno lucido, sereno,
75fresco smeraldo in l’ora che si fiacca,
     da l’erba e da li fior dentr’a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
78come dal suo maggiore è vinto il meno.
     Non avea pur natura ivi dipinto,
ma di soavitá di mille odori
81vi faceva uno incognito e indistinto.
     ‛ Salve Regina ’ in sul verde e ’n su’ fiori,
quindi seder cantando anime vidi,
84che per la valle non parean di fuori.
     «Prima che ’l poco sole omai s’annidi,»
cominciò il Mantovan che ci avea vòlti
87«tra costor non vogliate ch’io vi guidi:
     di questo balzo meglio li atti e’ volti
conoscerete voi di tutti quanti,
90che ne la lama giú tra essi accolti.
     Colui che piú siede alto, e fa sembianti
d’aver negletto ciò che far dovea,
93e che non move bocca a li altrui canti,
     Rodolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe c’hanno Italia morta,
96sí che tardi per altro si ricrea.
     L’altro che ne la vista lui conforta,
resse la terra dove l’acqua nasce
99che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta: