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CANTO V

     Io era giá da quell'ombre partito,
e seguitava l'orme del mio duca,
3quando di retro a me, drizzando il dito,
     una gridò: «Ve’ che non par che luca
lo raggio da sinistra a quel di sotto,
6e come vivo par che si conduca!»
     Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
9pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.
     «Perché l’animo tuo tanto s’impiglia»
disse ’l maestro «che l’andare allenti?
12che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
     Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
15giá mai la cima per soffiar de’ venti;
     ché sempre l’uomo in cui pensier rampolla
sovra pensier, da sé dilunga il segno,
18perché la foga l’un de l’altro insolla».
     Che poteva io ridir, se non ‛ Io vegno ’?
dissilo, alquanto del color consperso
21che fa l’uom di perdon tal volta degno.
     E ’ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
24cantando ‛ Miserere ’ a verso a verso.
     Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
per lo mio corpo al trapassar de’ raggi,
27mutar lor canto in un ‛ Oh! ’ lungo e roco;