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purgatorio - canto iii 165

     Guardò allora, e con libero piglio
rispose: «Andiamo in lá, ch’ei vegnon piano;
66e tu ferma la spene, dolce figlio».
     Ancora era quel popol di lontano,
i’ dico dopo i nostri mille passi,
69quanto un buon gittator trarría con mano,
     quando si strinser tutti ai duri massi
de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
72com’a guardar, chi va dubbiando, stassi.
     «O ben finiti, o giá spiriti eletti,»
Virgilio incominciò «per quella pace
75ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,
     ditene dove la montagna giace
sí che possibil sia l’andare in suso;
78ché perder tempo a chi piú sa piú spiace».
     Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l’altre stanno
81timidette atterrando l’occhio e ’l muso;
     e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei s’ella s’arresta,
84semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;
     sí vid’io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
87pudica in faccia e ne l’andare onesta.
     Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
90sí che l’ombra era da me a la grotta,
     restaro, e trasser sé indietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
93non sappiendo il perché, fenno altrettanto.
     «Senza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
96per che il lume del sole in terra è fesso.
     Non vi maravigliate; ma credete
che non senza virtú che da ciel vegna
99cerchi di soverchiar questa parete».