Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,
non ti maravigliar, piú che de’ cieli 30che l’uno a l’altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti e caldi e geli
simili corpi la Virtú dispone 33che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via 36che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
ché se possuto aveste veder tutto, 39mestier non era parturir Maria;
e disiar vedeste senza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato, 42ch’eternalmente è dato lor per lutto:
io dico d’Aristotile e di Plato
e di molt’altri»; e qui chinò la fronte, 45e piú non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto a piè del monte:
quivi trovammo la roccia sí erta, 48che ’ndarno vi saríen le gambe pronte.
Tra Lerice e Turbía, la piú diserta,
la piú rotta ruina è una scala, 51verso di quella, agevole e aperta.
«Or chi sa da qual man la costa cala»
disse ’l maestro mio, fermando il passo, 54«sí che possa salir chi va senz’ala?»
E mentre ch’e’ tenendo il viso basso
esaminava del cammin la mente, 57e io mirava suso intorno al sasso,
da man sinistra m’apparí una gente
d’anime, che movieno i piè ver noi, 60e non pareva, sí venivan lente.
«Leva,» diss’io «maestro, li occhi tuoi
ecco di qua chi ne dará consiglio, 63se tu da te medesmo aver nol puoi».