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156 la divina commedia

     Com’io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l’altro polo,
30lá onde il Carro giá era sparito,
     vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
33che piú non dée a padre alcun figliuolo.
     Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a’ suoi capelli simigliante,
36de’ quai cadeva al petto doppia lista.
     Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sí la sua faccia di lume,
39ch’io ’l vedea come il sol fosse davante.
     «Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione eterna?»
42diss’el, movendo quelle oneste piume.
     «Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
45che sempre nera fa la valle inferna?
     Son le leggi d’abisso cosí rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
48che, dannati, venite a le mie grotte?»
     Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
51reverenti mi fe’ le gambe e ’l ciglio.
     Poscia rispose lui: «Da me non venni;
donna scese dal ciel, per li cui prieghi
54de la mia compagnia costui sovvenni.
     Ma da ch’è tuo voler che piú si spieghi
di nostra condizion com’ell’è vera,
57esser non puote il mio che a te si nieghi.
     Questi non vide mai l’ultima sera;
ma per la sua follia le fu sí presso,
60che molto poco tempo a volger era.
     Sí com’io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non li era altra via
63che questa, per la quale i’ mi son messo.