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inferno - canto xxxiii 145

     Questi pareva a me maestro e donno,
cacciando il lupo e’ lupicini al monte
30per che i Pisan veder Lucca non ponno,
     con cagne magre, studiose e conte:
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
33s’avea messi dinanzi da la fronte.
     In picciol corso mi parieno stanchi
lo padre e’ figli, e con l’agute scane
36mi parea lor veder fender li fianchi.
     Quando fui desto innanzi la dimane,
pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli
39ch’eran con meco, e domandar del pane.
     Ben se’ crudel, se tu giá non ti duoli
pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
42e se non piangi, di che pianger suoli?
     Giá eran desti, e l’ora s’appressava
che ’l cibo ne soleva esser addotto,
45e per suo sogno ciascun dubitava:
     e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
a l’orribile torre; ond’io guardai
48nel viso a’ mie’ figliuoi senza far motto.
     Io non piangeva, sí dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
51disse: ‛ Tu guardi sí, padre! che hai? ’
     Perciò non lacrimai né rispos’io
tutto quel giorno né la notte appresso,
54infin che l’altro sol nel mondo uscío.
     Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
57per quattro visi il mio aspetto stesso,
     ambo le mani per dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
60di manicar, di subito levorsi
     e disser: ‛ Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
63queste misere carni, e tu le spoglia ’.