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inferno - canto xxxi 137

     tre Frison s’averíen dato mal vanto;
però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi
66dal luogo in giú dov’uomo affibbia ’l manto.
     «Raphel may amech zabi aalmi»
cominciò a gridar la fiera bocca,
69cui non si convenía piú dolci salmi.
     E ’l duca mio ver lui: «Anima sciocca,
tienti col corno, e con quel ti disfoga
72quand’ira o altra passion ti tocca!
     Cercati al collo, e troverai la soga
che ’l tien legato, o anima confusa,
75e vedi lui che ’l gran petto ti doga».
     Poi disse a me: «Elli stesso s’accusa;
questi è Nembròt, per lo cui mal coto
78pur un linguaggio nel mondo non s’usa.
     Lasciamlo stare e non parliamo a vòto;
ché cosí è a lui ciascun linguaggio
81com’è ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto».
     Facemmo adunque piú lungo viaggio,
vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro
84trovammo l’altro assai piú fèro e maggio.
     A cinger lui qual che fosse ’l maestro,
non so io dir; ma el tenea soccinto
87dinanzi l’altro e dietro il braccio destro
     d’una catena che ’l tenea avvinto
dal collo in giú, sí che ’n su lo scoperto
90si ravvolgea infino al giro quinto.
     «Questo superbo volle esser esperto
di sua potenza contro al sommo Giove,»
93disse ’l mio duca «ond’elli ha cotal merto.
     Fialte ha nome; e fece le gran prove
quando i giganti fer paura a’ Dei:
96le braccia ch’el menò, giá mai non move».
     E io a lui: «S’esser puote, io vorrei
che de lo smisurato Briareo
99esperienza avesser li occhi miei».