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136 la divina commedia

     Poi caramente mi prese per mano,
e disse: «Pria che noi siam piú avanti,
30acciò che ’l fatto men ti paia strano,
     sappi che non son torri, ma giganti;
e son nel pozzo intorno da la ripa
33da l’umbilico in giuso tutti quanti».
     Come, quando la nebbia si dissipa,
lo sguardo a poco a poco raffigura
36ciò che cela il vapor che l’aere stipa,
     cosí forando l’aura grossa e scura,
piú e piú appressando ver la sponda,
39fuggiemi errore e cresciemi paura;
     però che come su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,
42cosí ’n la proda che ’l pozzo circonda
     torreggiavan di mezza la persona
li orribili giganti, cui minaccia
45Giove dal cielo ancora quando tona;
     e io scorgeva giá d’alcun la faccia,
le spalle e ’l petto e del ventre gran parte,
48e per le coste giú ambo le braccia.
     Natura certo, quando lasciò l’arte
di sí fatti animali, assai fe’ bene
51per tórre tali esecutori a Marte;
     e s’ella d’elefanti e di balene
non si pente, chi guarda sottilmente,
54piú giusta e piú discreta la ne tene:
     ché dove l’argomento de la mente
s’aggiugne al mal volere ed a la possa,
57nessun riparo vi può far la gente.
     La faccia sua mi parea lunga e grossa
come la pina di San Pietro a Roma,
60e a sua proporzione eran l’altr’ossa;
     sí che la ripa, ch’era perizoma
dal mezzo in giú, ne mostrava ben tanto
63di sopra, che di giungere a la chioma