Qual sovra ’l ventre, e qual sovra le spalle
l’un de l’altro giacea, e qual carpone 69si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam senza sermone,
guardando e ascoltando li ammalati, 72che non potean levar le lor persone.
Io vidi due sedere a sé poggiati,
com’a scaldar si poggia tegghia a tegghia, 75dal capo al piè di schianze macolati;
e non vidi giá mai menare stregghia
a ragazzo aspettato dal signorso, 78né a colui che mal volentier vegghia,
come ciascun menava spesso il morso
de l’unghie sopra sé, per la gran rabbia 81del pizzicor, che non ha piú soccorso;
e sí traevan giú l’unghie la scabbia,
come coltel di scardova le scaglie 84o d’altro pesce che piú larghe l’abbia.
«O tu che con le dita ti dismaglie,»
cominciò ’l duca mio a l’un di loro 87«e che fai d’esse tal volta tanaglie,
dinne s’alcun latino è tra costoro
che son quinc’entro, se l’unghia ti basti 90eternalmente a cotesto lavoro».
«Latin siam noi, che tu vedi sí guasti
qui ambedue;» rispose l’un piangendo 93«ma tu chi se’ che di noi dimandasti?»
E ’l duca disse: «I’ son un che discendo
con questo vivo giú di balzo in balzo, 96e di mostrar lo ’nferno a lui intendo».
Allor si ruppe lo comun rincalzo;
e tremando ciascun a me si volse 99con altri che l’udiron di rimbalzo.
Lo buon maestro a me tutto s’accolse,
dicendo: «Dí a lor ciò che tu vuoli»; 102e io incominciai, poscia ch’ei volse: