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inferno - canto xxviii 123

     Un altro, che forata avea la gola
e tronco il naso infin sotto le ciglia,
66e non avea mai ch’una orecchia sola,
     ristato a riguardar per maraviglia
con li altri, innanzi a li altri aprí la canna,
69ch’era, di fuor, d’ogni parte vermiglia,
     e disse: «O tu cui colpa non condanna
e cu’ io vidi in su terra latina,
72se troppa simiglianza non m’inganna,
     rimembriti di Pier da Medicina,
se mai torni a veder lo dolce piano
75che da Vercelli a Marcabò dichina.
     E fa sapere a’ due miglior da Fano,
a messer Guido e anco ad Angiolello,
78che se l’antiveder qui non è vano,
     gittati saran fuor di lor vasello,
e mazzerati presso a la Cattolica,
81per tradimento d’un tiranno fello.
     Tra l’isola di Cipri e di Maiolica
non vide mai sí gran fallo Nettuno,
84non da pirate, non da gente argolica.
     Quel traditor che vede pur con l’uno,
e tien la terra che tal è qui meco
87vorrebbe di vedere esser digiuno,
     fará venirli a parlamento seco;
poi fará sí, ch’al vento di Focara
90non sará lor mestier vóto né preco».
     E io a lui: «Dimostrami e dichiara,
se vuo’ ch’i’ porti su di te novella,
93chi è colui da la veduta amara».
     Allor pose la mano a la mascella
d’un suo compagno e la bocca li aperse,
96gridando: «Questi è desso, e non favella.
     Questi, scacciato, il dubitar sommerse
in Cesare, affermando che ’l fornito
99sempre con danno l’attender sofferse».